Birdwatching... da pauuura!!!

Parole e ali...

Birdwatching... da pauuura!!!

Messaggioda Angmar » 11 mar 2009, 22:25

Premessa:
Non vi dispiacerà, spero, se tra tanta poesia ci infilo un po' di prosa e per l'esattezza un classico della letteratura horror, "It" di Stephen King.

It è un romanzo horror scritto da Stephen King e pubblicato nel 1986. Considerato il capolavoro di King, It è una lunga e sinistra saga corale che si espande tra orrori inquietanti e drammi umani senza speranza, e tratta i temi che in seguito diventeranno il simbolo dell'autore: la forza della memoria, traumi infantili e la violenza nascosta dietro la felicità, l'apparenza di una piccola cittadina.

Il romanzo è la storia di sette amici provenienti dalla città immaginaria di Derry, nel Maine, ed è raccontata alternando due diversi periodi di tempo.
(fonte: Wikipedia)


Ebbene, uno dei sette ragazzini, Stan Uris, è un appassionato birdwatcher e il capitolo che riporterò (più la fine del cap. precedente, per rendere il tutto più comprensibile) narra proprio le sue peripezie di birder, naturalmente nel contesto orrorifico del romanzo.
Come potrete notare l'autore parla della passione per l'ornitologia con estrema naturalezza, e non perché la condivida (o almeno non mi risulta) ma per come il birdwatching sia, lo sappiamo, una cosa assolutamente normale e comune nel mondo anglosassone.
La parte che riporterò si trova a meno della metà del romanzo, quindi se qualcuno fosse interessato a leggerlo sappia che non gli anticipo niente di fondamentale (tranne una cosa che nasconderò adeguatamente).
Siccome è piuttosto lungo, lo riporterò a pezzi, in più post, per scoraggiare il minor numero possibile di persone di fronte ad un chilometrico papiro. :-))
Trovo il pezzo estremamente avvincente e ricco di possibili spunti di discussione. Spero che vogliate leggerlo e magari commentarlo! :yes:


----------

«Tu che cosa hai visto laggiù?» domandò a voce bassa Bev.
Lì per lì sembrò che non avrebbe mai risposto. Poi trasse un sospiro, come scosso da un brivido, e disse qualcosa che sulle prime sembrò a tutti fuori tema. «L'hanno chiamato Memorial Park in onore del 23esimo Maine della Guerra Civile. Li avevano soprannominati i Derry Blues. Una volta c'era anche una statua, ma crollò durante un temporale negli anni Quaranta. Non avevano abbastanza soldi per riparare la statua, così ci hanno messo invece una fontana per il bagno degli uccellini. Una grande vasca di pietra.»
Ora lo stavano guardando tutti. Stan deglutì. Udirono distintamente un click provenire dalla sua gola.
«A me piace guardare gli uccelli, ho un album, un binocolo Zeiss-Ikon.» Si girò verso Eddie. «Hai ancora dell'aspirina?»
Eddie gli passò il flaconcino. Stan ne prese due, esitò, ne prese un'altra. Restituì il flaconcino e mandò giù le compresse, una dopo l'altra, con altrettante smorfie. Poi riprese il suo racconto.

10


L'incontro di Stan era avvenuto in una piovosa sera d'aprile, due mesi prima. Si era munito di mantella, aveva riposto il suo libro di ornitologia e il binocolo in una sacca impermeabile con chiusura a cordicella ed era partito alla volta del Memorial Park. Di solito usciva con suo padre, ma quella sera aveva dovuto «fare degli straordinari», perciò aveva telefonato appositamente all'ora di cena per parlargli.
Uno dei suoi clienti all'agenzia, altro appassionato di uccelli, credeva di aver individuato un cardinale rosso (Fringillidae Richmondena) che beveva alla vasca degli uccelli in Memorial Park e desiderava informarne il figlio. Ai cardinali rossi piaceva cibarsi e bere e fare il bagno proprio all'ora del crepuscolo. Ed era abbastanza raro trovare un cardinale così a nord, nel Massachusetts. Dunque, Stan aveva voglia di fare una puntatina e provare se gli riusciva di vederlo? C'era un tempo da cani, d'accordo, tuttavia...
Stan fu ben lieto di accettare quel suggerimento. Sua madre gli fece promettere di tenere sempre il cappuccio sulla testa, ma Stan lo avrebbe fatto comunque. Era pignolo, anche da ragazzino. Non c'era mai bisogno di alzare la voce per obbligarlo a mettersi gli stivali di gomma o i calzoni imbottiti d'inverno.
Percorse il miglio e mezzo di strada fino al Memorial Park in una pioggia così sottile e indecisa che non era nemmeno pioggerella, ma piuttosto una specie di foschia più umida del solito. L'aria era ovattata ma a suo modo emozionante. A dispetto dei rimasugli di neve che ancora si scorgevano sotto i cespugli e nel fitto degli alberi (scorci bianchi che a Stan sembravano federe sporche e smesse), fiutava un odore di crescita imminente. Guardando i rami degli olmi e degli aceri e delle querce contro il cielo biancastro, ebbe l'impressione che le silhouette fossero misteriosamente gravide. Di lì a un paio di settimane la natura sarebbe esplosa srotolando foglie di un verde delicato e quasi trasparente.
L'aria sa di verde questa sera, pensò sorridendo fra sé.
Camminava di buon passo perché mancava un'ora o anche meno all'oscurità. Era meticoloso nel suo hobby quanto era nel vestire e nelle sue abitudini di studio e, se non avesse avuto luce sufficiente da potersi ritenere assolutamente sicuro, non si sarebbe permesso di annotare sul suo taccuino l'avvicinamento del cardinale rosso anche se in cuor suo non avesse avuto dubbi.
Attraversò il Memorial Park in diagonale. Alla sinistra c'era la mole bianca della Cisterna. La ignorò quasi totalmente. La Cisterna non gli interessava minimamente.
Il Memorial Park era approssimativamente un rettangolo in lieve pendio. L'erba (biancastra e smortigna in quella stagione) veniva tenuta accuratamente tagliata durante l'estate fra le aiuole circolari. Non c'erano però attrezzature per il gioco. Questo era considerato un parco per adulti.
In fondo al declivio, il pendio diventava improvvisamente scosceso, scendendo bruscamente verso Kansas Street e i Barren. La vasca per il bagno degli uccelli di cui gli aveva parlato suo padre si trovava nella zona più pianeggiante. Era un gran disco di pietra, poco profondo, installato su un tozzo piedistallo in muratura, il quale era in realtà assai troppo grande per l'umile funzione che doveva svolgere. Il padre gli aveva spiegato che, prima che finissero i soldi, avevano avuto intenzione di reinsediare su quel piedistallo la statua del soldato.
«Io preferisco la vasca per gli uccelli, papà», aveva risposto Stan.
Il signor Uris gli aveva arruffato i capelli. «Anch'io, figliolo», aveva confessato. «Più bagni e meno pallottole, questo è il mio motto.»
Anche in cima a quel piedistallo c'era un motto, scolpito nella pietra. Stanley lo lesse ma non lo capì: l'unico latino che gli riusciva comprensibile era quello delle classificazioni per generi degli uccelli.
Apparebat eidolon senex.
Plinio

diceva l'iscrizione.
Stan si sedette sulla panchina, tolse dalla sacca il suo album degli uccelli e cercò per l'ennesima volta l'immagine del cardinale rosso, per studiarla, assimilare meglio i segni di riconoscimento. Un cardinale maschio non si sarebbe potuto confondere con nessun altro volatile, dato che era rosso come un'autopompa, anche se non altrettanto grande; ma Stan era un paradigma di abitudine e conformismo; queste constatazioni lo rinfrancavano e rafforzavano la sua convinzione di appartenenza al mondo intero. Così studiò l'immagine per tre minuti buoni prima di richiudere il libro (l'umidità stava già facendo arricciare gli angoli delle pagine) e riporlo nella sacca. Tolse quindi il binocolo dall'astuccio e se lo portò agli occhi. Non aveva bisogno di regolare il fuoco, perché l'ultima volta che l'aveva usato era stato su quella stessa panchina a sorvegliare la stessa vasca degli uccelli.
Ragazzo pignolo, ragazzo paziente. Non era sulle spine. Non si alzò per fare quattro passi nei dintorni e non puntò il suo binocolo di qui e di là alla ricerca di qualcos'altro di interessante da vedere. Restò seduto immobile con il binocolo puntato sulla vasca per gli uccelli, mentre la bruma si raccoglieva in goccioloni sulla sua mantella gialla.

[continua...]
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Re: Birdwatching... da pauuura!!!

Messaggioda donatella » 13 mar 2009, 15:01


Andare da qualche parte, apposta, soli, con la speranza di un incontro, sedersi, aspettare...percepire - nel frattempo - l'aria intorno a te, osservare... Come non riconoscersi, in tutto ciò?
Non ho mai letto Stephen King perchè non mi piace avere paura :wow: (e so che ne avrei...), ma a questo punto ho proprio voglia di vedere come continua: aspetto con curiosità il tuo prossimo post


(clap)
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Re: Birdwatching... da pauuura!!!

Messaggioda volo_1969 » 14 mar 2009, 12:22

se non avesse avuto luce sufficiente da potersi ritenere assolutamente sicuro, non si sarebbe permesso di annotare sul suo taccuino l'avvicinamento del cardinale rosso anche se in cuor suo non avesse avuto dubbi
(y)
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(tutti in coro)
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:bye:
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Re: Birdwatching... da pauuura!!!

Messaggioda Angmar » 15 mar 2009, 1:23

...

E non si annoiò. Stava sorvegliando l'equivalente di una sala da congressi per volatili. Vennero a posarsi per qualche tempo quattro passeri bruni che immersero il becco nell'acqua e si lanciarono goccioline sulle ali e sul dorso. Poi una ghiandaia piombò sul gruppo come un poliziotto che viene a disperdere una banda di bighelloni. Nelle lenti del binocolo di Stan la ghiandaia era grande come una casa, cosicché i suoi versi bisbetici risultavano assurdamente deboli in confronto (dopo che hai guardato abbastanza a lungo in un binocolo e ti sei abituato a vedere gli uccelli ingranditi, hai la sensazione che quelle siano le loro dimensioni giuste). I passeri presero il volo. La ghiandaia allora la fece da padrona, zampettò impettita, fece il bagno, si stufò e ripartì.
Tornarono i passeri che decollarono di nuovo quando scesero un paio di pettirossi a fare il bagno e forse a discutere animatamente di questioni di grande importanza. Suo padre aveva riso all'ipotesi esitante di Stan che forse gli uccelli sapessero parlare. Era sicuro che suo padre aveva avuto ragione quando aveva risposto che gli uccelli non erano abbastanza intelligenti per poter parlare, avevano cervellini troppo piccoli; ma - diamine - indubbiamente davano l'impressione che stessero conversando. Furono raggiunti da un nuovo uccello. Era rosso. Stan cambiò lievemente la messa a fuoco del binocolo in tutta fretta. Era forse...? No. Era una tanagra, un esemplare notevole, ma non il cardinale rosso che cercava lui. Vi si aggregò Un picchio dorato che era visitatore abituale della vasca per gli uccelli al Memorial Park. Stan lo riconobbe dall'ala destra malconcia. Come sempre si chiese come potesse essersi ferito, scegliendo come spiegazione più probabile l'avventuroso scampo dall'agguato di un gatto. Altri uccelli vennero e ripartirono. Vide uno sturnide, brutto e goffo come un carro merci volante, un pettirosso azzurro, un altro picchio dorato. La sua pazienza fu finalmente ricompensata dall'apparire di un uccello nuovo. Non il cardinale, bensì un ittero del bestiame, che gli si presentò enorme e stupido nelle lenti del binocolo. Si lasciò ricadere lo strumento contro il petto e recuperò in fretta e furia il suo album dalla sacca, sperando che Pittero non spiccasse il volo prima che avesse tempo di confermarne l'avvistamento. Almeno avrebbe avuto qualcosa da riportare a casa a suo padre. Ed era ora di andarsene. La luce si spegneva velocemente. Aveva freddo e si sentiva intirizzito. Controllò il libro e tornò a guardare attraverso le lenti. Era ancora lì, non a fare il bagno, ma fermo semplicemente sul bordo della vasca con quell'aria da ritardato. Era quasi sicuramente un ittero del bestiame. Senza segni particolari - quantomeno nessuno che riuscisse a individuare a quella distanza - e nella luce ormai indebolita, gli era difficile esserne certo al cento per cento, ma forse gli restava ancora il tempo per un ultimo controllo. Esaminò l'immagine sull'album, studiandola con un fiero cipiglio di concentrazione e tornò ad applicare gli occhi al binocolo. Aveva appena puntato lo strumento sul volatile, quando un tonfo sordo e violento mise in fuga l'ittero del bestiame... posto che avesse visto giusto. Stan cercò di seguirne il volo attraverso le lenti, sapendo quante poche probabilità aveva di rivederlo. Lo perse ed emise un sibilo di disgusto fra i denti. Si consolò allora pensando che se era sceso alla vasca una volta, forse ci sarebbe tornato. Ed era stato solo un ittero del bestiame
(probabilmente un ittero del bestiame)
in fondo, non un'aquila reale o un'alca impenne.
Infilò il binocolo nell'astuccio e mise via il libro degli uccelli. Si alzò e si guardò attorno, giusto per vedere se riusciva a capire che cosa avesse provocato quel rumore improvviso. Non gli era sembrato un fucile o il botto di un tubo di scappamento. Gli aveva ricordato piuttosto un effetto sonoro da film dell'orrore... una porta che si spalanca nelle segrete di un castello.
Non vide niente.
S'incamminò per il pendio verso Kansas Street. Ora aveva la Cisterna sulla destra, grande cilindro bianco come gesso, fantasmagorico nella foschia e nell'oscurità crescente. Sembrava quasi che... che volasse.
Strano pensiero. Presumibilmente l'aveva formulato la sua mente, perché se no, da dove gli veniva? Eppure non gli sembrava farina del suo sacco.
Osservò più attentamente la Cisterna, quindi piegò in quella direzione senza nemmeno pensarci. Vi si aprivano finestre a intervalli regolari, in corrispondenza della spirale della scala a chiocciola all'interno, in una disposizione che fece tornare alla sua mente il palo del barbiere davanti alla bottega del signor Aurlette dove andavano sia lui, sia suo padre, a farsi tagliare i capelli. Le assicelle bianche come ossi calcinati sporgevano al di sopra di ciascuna di quelle finestre buie come arcate sopraccigliari. Chissà come hanno fatto, si domandò Stan (non con l'interesse con cui avrebbe affrontato il problema Ben Hanscom, ma con notevole curiosità) e fu allora che notò un tratto più ampio di oscurità ai piedi della Cisterna, una forma chiaramente oblunga nella base circolare.
Si fermò perplesso, riflettendo che quello era un posto strano per mettere una finestra, specialmente se assolutamente asimmetrica rispetto a tutte le altre. Poi si rese conto che non poteva essere una finestra. Doveva essere una porta.
Il rumore che ho sentito, pensò. Era quella porta che si spalancava.
Si guardò attorno. Imbrunire precoce, torvo. Il cielo bianco stava assumendo un'opaca sfumatura di grigio violaceo e la foschia già assomigliava più a quella pioggia costante che sarebbe caduta per gran parte della notte. Crepuscolo e foschia e neanche un soffio di vento.
Dunque... se non era stato il vento a spalancare la porta, era possibile che qualcuno l'avesse aperta dall'interno? E perché? E poi sembrava maledettamente pesante perché qualcuno potesse sbatterla con tanta violenza da provocare un baccano del genere. D'altra parte una persona molto corpulenta... Chissà...
Sempre più incuriosito, Stan si avvicinò per vedere meglio.

[continua...]
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Re: Birdwatching... da pauuura!!!

Messaggioda EBN001 » 15 mar 2009, 9:36

On ho mai potuto sopportare Stephen King... la mena per pagine intere, ricostruendo le storie dei personaggi fin al particolare più insignificante, non arrivando mai al dunque... :mmm:

SE a qualcuno interessa (dubito) il Cardinale rosso l'ho visto a Indianapolis 1993, in un giardino senza vasca per gli uccelli... :yes: e non c'erano porte che sbattevano... :mmm:
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Re: Birdwatching... da pauuura!!!

Messaggioda donatella » 15 mar 2009, 19:18

Angmar ha scritto:...

E non si annoiò. Stava sorvegliando l'equivalente di una sala da congressi per volatili. Vennero a posarsi per qualche tempo quattro passeri bruni che immersero il becco nell'acqua e si lanciarono goccioline sulle ali e sul dorso. Poi una ghiandaia piombò sul gruppo come un poliziotto che viene a disperdere una banda di bighelloni. Nelle lenti del binocolo di Stan la ghiandaia era grande come una casa, cosicché i suoi versi bisbetici risultavano assurdamente deboli in confronto (dopo che hai guardato abbastanza a lungo in un binocolo e ti sei abituato a vedere gli uccelli ingranditi, hai la sensazione che quelle siano le loro dimensioni giuste). (...)
un tonfo sordo e violento mise in fuga l'ittero del bestiame... posto che avesse visto giusto. Stan cercò di seguirne il volo attraverso le lenti, sapendo quante poche probabilità aveva di rivederlo. Lo perse ed emise un sibilo di disgusto fra i denti. Si consolò allora pensando che se era sceso alla vasca una volta, forse ci sarebbe tornato.
[continua...]


Horror o non horror, la parte sul ragazzio birder è davvero realistica! Sembra raccontata proprio da qualcuno che pratichi il birdwatching con passione: le ingannevoli impressioni attraverso le lenti, la frustrazione quando la "preda" sfugge al nostro campo visivo, e anche costruire analogie con le situazioni umane (sala da congressi per volatili?). Chissà se anche Walt Disney era un birder... :-/
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Re: Birdwatching... da pauuura!!!

Messaggioda Angmar » 18 mar 2009, 2:07

...

La porta era ancor più grande di quanto gli era sembrato dapprincipio, alta due metri e spessa mezzo, con le assi tenute insieme da fasce d'ottone. La spinse, richiudendola per metà. Cedette senza opporre resistenza, ruotando facilmente sui cardini nonostante le dimensioni. Inoltre si muoveva senza rumore, nemmeno il minimo cigolio. L'aveva spostata perché voleva vedere fino a che punto avesse danneggiato le assicelle, sbattendo in quella maniera. Nessun danno. Nemmeno un segnetto. Stramberiopoli, come avrebbe detto Richie.
Allora, evidentemente non avevi sentito questa porta sbattere, concluse. Forse era il bang della velocità supersonica di qualche jet di passaggio da Loring su Derry. Probabilmente questa porta era già aperta prima...
Sentì qualcosa sotto il piede. Abbassò la testa e vide che era un lucchetto. Rettifica: era quel che restava di un lucchetto. Era infatti squarciato. Sembrava che qualcuno avesse riempito la toppa di polvere da sparo e vi avesse avvicinato un fiammifero. Dal corpo centrale scaturivano infiorescenze di metallo pericolosamente acuminate e taglienti, spinte da un'esplosione interiore. Sembravano oggetti congelati. Dentro al lucchetto vedeva gli strati di acciaio e meccanismi. Il grosso anello di ferro pendeva appeso a un bullone che era stato divelto per tre quarti dal legno. Gli altri tre erano finiti nell'erba bagnata. Erano contorti come patatine fritte.
Sempre più perplesso Stan riaprì la porta per guardare dentro.
Vide la rampa di scale che saliva stretta in una curva subito risucchiata dall'oscurità. Il lato interiore della parete esterna della struttura era di legno grezzo, sorretto da giganteschi travi di supporto che sembravano incavicchiati, piuttosto che inchiodati. Alcuni dei cavicchi erano più larghi della circonferenza dei suoi bicipiti. Il cilindro interno era d'acciaio e da essi sporgevano giganteschi rivetti simili a vesciche.
«C'è nessuno?» chiamò Stan.
Non ebbe risposta.
Esitò, poi entrò per sbirciare meglio su per la gola delle scale. Niente. E questa era Brividopoli bell'e buona. Come avrebbe anche detto Richie. Si girò per andarsene... e udì la musica.
Era debole, ma immediatamente riconoscibile.
Musica di organetto.
Inclinò la testa, ascoltò, le rughe sulla sua fronte cominciarono a sciogliersi. Sì, musica d'organetto, la musica delle sagre e delle fiere di campagna. Evocava ricordi tanto deliziosi quanto effimeri: popcorn, zucchero filato, krapfen fritti nel grasso bollente, lo sferragliare di cremagliere di giostre come l'otto volante, la frusta, le scodelle ruotanti.
All'espressione perplessa di poco prima si era sostituito un abbozzo di sorriso. Salì un gradino, poi altri due, con la testa sempre inclinata. Si fermò di nuovo. Come se bastasse pensare a una festa di paese per crearne davvero una; adesso sentiva davvero l'odore del popcorn, dello zucchero filato, dei krapfen... e non solo... peperoni alla brace, hotdog con salsa piccante, fumo di sigarette e segatura. L'odore forte dell'aceto bianco, quello che si spruzza sulle patatine fritte dal buchino nel tappo di latta. Odore di senape, color giallo ocra e forte da farti piangere, da spalmare sull'hotdog con una spatolina di legno.
Era stupefacente... incredibile... irresistibile.
Salì un altro gradino e fu allora che udì il frusciare, il rumore di passi frettolosi sopra di lui che gli scendevano incontro. Inclinò di nuovo la testa. La musica dell'organetto era diventata improvvisamente più forte, come per mascherare il rumore dei passi. Ora riconosceva anche la melodia. Era Camptown Races.
Passi, sì. Ma non erano proprio passi fruscianti, no? Per essere più precisi, avrebbe dovuto definirli... sguazzanti, non è vero? Come passi di persone che camminavano con addosso stivali di gomma pieni d'acqua.

Belle signore di Camptown, cantate questa canzone, doodà, doodà
(Squish-squish)
Nove miglia di pista a Camptown, doodà, doodà
(Squish-squish... più vicino adesso)
Giro e rigiro tutta la notte
Giro e rigiro tutto il dì...


Ora c'erano ombre che dondolavano sulla parete sopra di lui. Il terrore gli piombò giù per la gola tutt'a un tratto e fu come se avesse ingoiato qualcosa di rovente e orribile, una medicina cattiva che lo galvanizzò di botto come una scarica elettrica. Furono le ombre a sortire quell'effetto.
Li vide solo per un attimo. Ebbe appena il tempo di osservare che ce n'erano due, che erano distorte, un po' innaturali. Ebbe solo quell'istante, perché la luce lì dentro si spegneva, troppo velocemente, e mentre si voltava, la pesante porta della Cisterna si richiuse con un tonfo possente.
Stanley scese di corsa le scale (si accorse solo ora di essere salito per almeno una dozzina di gradini anche se se ne ricordava solo due o tre al massimo), in preda al panico. Era troppo buio e non si vedeva più niente. Sentiva il proprio respiro e sentiva ancora le note dell'organetto che suonava in alto, sopra di lui
(ma che ci faceva un organetto lassù, nel buio? Chi lo stava suonando?)
e sentiva quei passi sciaguattanti. Sempre più vicini.
Colpì la porta con entrambe la mani spalancate, la colpì con tale violenza che scintille di dolore gli partirono dalle dita e gli salirono fino ai gomiti. Prima si era richiusa così facilmente... e adesso non si mosse di un millimetro.
No... non era proprio così. Al primo impatto si era spostata leggermente, abbastanza perché scorgesse una striscia beffarda di luce grigia lungo il lato sinistro. Poi si era richiusa, come se dall'altra parte ci fosse qualcuno che spingeva.
Affranto, terrorizzato, Stan spinse di nuovo con tutte le forze. Sentiva le fasce d'ottone che gli intaccavano la pelle delle mani. Niente.
Ruotò su se stesso, schiacciando contro la porta la schiena e le mani aperte. Si sentiva colare dalla fronte il sudore, oleoso e caldo. La musica dell'organetto era sempre più forte. Scendeva echeggiante per la spirale della scala a chiocciola. Ora non c'era più niente di allegro in quelle note. La melodia si era trasformata in canto funebre. Ululava come vento portatore di pioggia e a Stan parve di vedere una sagra sul finire d'autunno, lo spiazzo deserto in balia di vento e pioggia, bandierine svolazzanti, tendoni che si gonfiavano e crollavano o si alzavano nell'aria fluttuando come pipistrelli di tela. Vide giostre abbandonate che si stagliavano contro il cielo come ponteggi, dove il vento si scagliava sugli incroci dei montanti e tamburellava e abbaiava. Avvertì improvvisamente la presenza della morte in quel luogo, insieme con lui, la morte che usciva dalle tenebre per venirlo a prendere e lui non poteva scappare.
Dalle scale scese un subitaneo scroscio d'acqua. Ora non sentiva più l'odore di popcorn e krapfen e zucchero filato, bensì quella di umida putrefazione, il tanfo di carne di maiale esplosa in una furia di larve di mosche in un luogo nascosto al sole.
«Chi c'è?» chiese con voce stridula e tremante.
Gli rispose una voce cupa e gorgogliante, che sembrava strozzata da fango e acqua stagnante.
«I morti, Stanley. Noi siamo i morti. Siamo affondati, ma adesso voliamo. E anche tu volerai...»
L'acqua gli fluiva intorno ai piedi. Si acquattò contro la porta, attanagliato dalla paura. Ormai erano molto vicini. Li sentiva. Li fiutava. Qualcosa gli premeva contro il fianco, mentre picchiava invano i pugni sulla porta.
«Siamo morti, ma qualche volta ci piace spassarcela un po', Stanley. Qualche volta...»
Era il suo libro degli uccelli.

[continua...]
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Re: Birdwatching... da pauuura!!!

Messaggioda Angmar » 25 mar 2009, 3:08

Eccoci alla fine del capitolo. In uno degli ultimi paragrafi noterete un taglio - [cut] - che ho apportato per celare un grosso spoiler riguardante il protagonista. Magari non leggerete mai il romanzo e avrei potuto lasciare la frase com'era, ma narrativamente non si perde comunque niente.


----------

Senza nemmeno riflettere, Stan lo afferrò, si era incastrato nella tasca della mantella e non veniva fuori. Uno di loro era arrivato in fondo alle scale e adesso lo sentiva attraversare trascicando i piedi il piccolo atrio di pietra davanti alla porta. Lo avrebbe raggiunto da un secondo all'altro e allora avrebbe sentito su di sé la sua pelle gelida.
Diede un ultimo terribile strattone e si ritrovò l'album tra le mani. Lo tenne davanti a sé facendosene debolmente scudo, non per un disegno razionale, ma perché all'improvviso sentì che era giusto.
«Pettirossi!» gridò nelle tenebre e per un attimo l'essere che si stava avvicinando (non poteva trovarsi a più di cinque passi da lui) esitò... era quasi sicuro che avesse esitato. E contemporaneamente non aveva forse avvertito un cedimento nella porta contro la quale era acquattato?
Ma no, non era affatto acquattato. Era anzi ben ritto sulle gambe, rivolto alle tenebre. Quando era successo? Non c'era tempo per domandarselo. Si passò la lingua sulle labbra inaridite e intonò: «Pettirossi! Aironi bianchi! Gavie! Tanagre scarlatte! Storni! Umbrette! Picchi capirossi! Cincie! Scriccioli! Pelli...»
La porta si aprì con un cigolio di protesta e Stan spiccò un gran balzo nell'aria bianca di foschia. Cadde lungo e disteso nell'erba morta. Aveva ripiegato il libro di ornitologia quasi a metà e più tardi quella sera avrebbe trovato le impronte evidenti delle sue dita nella copertina, come se l'album fosse stato rilegato in pongo, invece che cartone.
Non cercò di rialzarsi e si mise al contrario a spingere con i talloni, scavando solchi con le natiche nell'erba viscida. Teneva le labbra rovesciate all'infuori. Nell'oscuro riquadro vedeva due paia di gambe sotto la linea diagonale dell'ombra proiettata dall'uscio che ora era aperta per metà. Vedeva jeans marciti, di un colore nero violaceo, dai quali pendevano, inerti, i fili arancioni delle cuciture; e l'acqua che traboccava dai risvolti formando pozze intorno a scarpe quasi completamente disfatte, dalle quali sporgevano dita gonfie e purpuree.
Tenevano le mani mollemente abbandonate lungo i fianchi, mani troppo lunghe, troppo bianche, come di cera. Appeso a ciascun dito c'era un piccolo pompon arancione.
Tenendo davanti a sé il libro deformato dalla caduta, con la faccia bagnata di pioggia e sudore e pianto, Stan continuò in una roca cantilena: «Falchi... frosoni... colibrì... albatros... kiwi...»
Una di quelle mani si rigirò mostrando un palmo dal quale l'acqua perenne aveva cancellato ogni linea, levigando la pelle che ormai era uniforme come quella di un manichino dei grandi magazzini.
Un dito si distese... poi si rifletté di nuovo. Il pompon rimbalzò e ricadde, ricadde e rimbalzò.
Lo stava chiamando.
Stan Uris, [cut], si alzò sulle ginocchia, poi sui piedi e cominciò a correre. Attraversò di corsa Kansas Street senza preoccuparsi che ci fossero veicoli in arrivo e si fermò ansimante solo sul marciapiede opposto, per girarsi a guardare.
Da dove si trovava non vedeva più la porta alla base della Cisterna e l'enorme serbatoio nel crepuscolo gli sembrò quasi elegante.
«Erano morti», mormorò fra sé, ancora sconvolto.
Si voltò all'improvviso e ripartì di corsa verso casa.
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