Non vi dispiacerà, spero, se tra tanta poesia ci infilo un po' di prosa e per l'esattezza un classico della letteratura horror, "It" di Stephen King.
It è un romanzo horror scritto da Stephen King e pubblicato nel 1986. Considerato il capolavoro di King, It è una lunga e sinistra saga corale che si espande tra orrori inquietanti e drammi umani senza speranza, e tratta i temi che in seguito diventeranno il simbolo dell'autore: la forza della memoria, traumi infantili e la violenza nascosta dietro la felicità, l'apparenza di una piccola cittadina.
Il romanzo è la storia di sette amici provenienti dalla città immaginaria di Derry, nel Maine, ed è raccontata alternando due diversi periodi di tempo.(fonte: Wikipedia)
Ebbene, uno dei sette ragazzini, Stan Uris, è un appassionato birdwatcher e il capitolo che riporterò (più la fine del cap. precedente, per rendere il tutto più comprensibile) narra proprio le sue peripezie di birder, naturalmente nel contesto orrorifico del romanzo.
Come potrete notare l'autore parla della passione per l'ornitologia con estrema naturalezza, e non perché la condivida (o almeno non mi risulta) ma per come il birdwatching sia, lo sappiamo, una cosa assolutamente normale e comune nel mondo anglosassone.
La parte che riporterò si trova a meno della metà del romanzo, quindi se qualcuno fosse interessato a leggerlo sappia che non gli anticipo niente di fondamentale (tranne una cosa che nasconderò adeguatamente).
Siccome è piuttosto lungo, lo riporterò a pezzi, in più post, per scoraggiare il minor numero possibile di persone di fronte ad un chilometrico papiro.
Trovo il pezzo estremamente avvincente e ricco di possibili spunti di discussione. Spero che vogliate leggerlo e magari commentarlo!
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«Tu che cosa hai visto laggiù?» domandò a voce bassa Bev.
Lì per lì sembrò che non avrebbe mai risposto. Poi trasse un sospiro, come scosso da un brivido, e disse qualcosa che sulle prime sembrò a tutti fuori tema. «L'hanno chiamato Memorial Park in onore del 23esimo Maine della Guerra Civile. Li avevano soprannominati i Derry Blues. Una volta c'era anche una statua, ma crollò durante un temporale negli anni Quaranta. Non avevano abbastanza soldi per riparare la statua, così ci hanno messo invece una fontana per il bagno degli uccellini. Una grande vasca di pietra.»
Ora lo stavano guardando tutti. Stan deglutì. Udirono distintamente un click provenire dalla sua gola.
«A me piace guardare gli uccelli, ho un album, un binocolo Zeiss-Ikon.» Si girò verso Eddie. «Hai ancora dell'aspirina?»
Eddie gli passò il flaconcino. Stan ne prese due, esitò, ne prese un'altra. Restituì il flaconcino e mandò giù le compresse, una dopo l'altra, con altrettante smorfie. Poi riprese il suo racconto.
10
L'incontro di Stan era avvenuto in una piovosa sera d'aprile, due mesi prima. Si era munito di mantella, aveva riposto il suo libro di ornitologia e il binocolo in una sacca impermeabile con chiusura a cordicella ed era partito alla volta del Memorial Park. Di solito usciva con suo padre, ma quella sera aveva dovuto «fare degli straordinari», perciò aveva telefonato appositamente all'ora di cena per parlargli.
Uno dei suoi clienti all'agenzia, altro appassionato di uccelli, credeva di aver individuato un cardinale rosso (Fringillidae Richmondena) che beveva alla vasca degli uccelli in Memorial Park e desiderava informarne il figlio. Ai cardinali rossi piaceva cibarsi e bere e fare il bagno proprio all'ora del crepuscolo. Ed era abbastanza raro trovare un cardinale così a nord, nel Massachusetts. Dunque, Stan aveva voglia di fare una puntatina e provare se gli riusciva di vederlo? C'era un tempo da cani, d'accordo, tuttavia...
Stan fu ben lieto di accettare quel suggerimento. Sua madre gli fece promettere di tenere sempre il cappuccio sulla testa, ma Stan lo avrebbe fatto comunque. Era pignolo, anche da ragazzino. Non c'era mai bisogno di alzare la voce per obbligarlo a mettersi gli stivali di gomma o i calzoni imbottiti d'inverno.
Percorse il miglio e mezzo di strada fino al Memorial Park in una pioggia così sottile e indecisa che non era nemmeno pioggerella, ma piuttosto una specie di foschia più umida del solito. L'aria era ovattata ma a suo modo emozionante. A dispetto dei rimasugli di neve che ancora si scorgevano sotto i cespugli e nel fitto degli alberi (scorci bianchi che a Stan sembravano federe sporche e smesse), fiutava un odore di crescita imminente. Guardando i rami degli olmi e degli aceri e delle querce contro il cielo biancastro, ebbe l'impressione che le silhouette fossero misteriosamente gravide. Di lì a un paio di settimane la natura sarebbe esplosa srotolando foglie di un verde delicato e quasi trasparente.
L'aria sa di verde questa sera, pensò sorridendo fra sé.
Camminava di buon passo perché mancava un'ora o anche meno all'oscurità. Era meticoloso nel suo hobby quanto era nel vestire e nelle sue abitudini di studio e, se non avesse avuto luce sufficiente da potersi ritenere assolutamente sicuro, non si sarebbe permesso di annotare sul suo taccuino l'avvicinamento del cardinale rosso anche se in cuor suo non avesse avuto dubbi.
Attraversò il Memorial Park in diagonale. Alla sinistra c'era la mole bianca della Cisterna. La ignorò quasi totalmente. La Cisterna non gli interessava minimamente.
Il Memorial Park era approssimativamente un rettangolo in lieve pendio. L'erba (biancastra e smortigna in quella stagione) veniva tenuta accuratamente tagliata durante l'estate fra le aiuole circolari. Non c'erano però attrezzature per il gioco. Questo era considerato un parco per adulti.
In fondo al declivio, il pendio diventava improvvisamente scosceso, scendendo bruscamente verso Kansas Street e i Barren. La vasca per il bagno degli uccelli di cui gli aveva parlato suo padre si trovava nella zona più pianeggiante. Era un gran disco di pietra, poco profondo, installato su un tozzo piedistallo in muratura, il quale era in realtà assai troppo grande per l'umile funzione che doveva svolgere. Il padre gli aveva spiegato che, prima che finissero i soldi, avevano avuto intenzione di reinsediare su quel piedistallo la statua del soldato.
«Io preferisco la vasca per gli uccelli, papà», aveva risposto Stan.
Il signor Uris gli aveva arruffato i capelli. «Anch'io, figliolo», aveva confessato. «Più bagni e meno pallottole, questo è il mio motto.»
Anche in cima a quel piedistallo c'era un motto, scolpito nella pietra. Stanley lo lesse ma non lo capì: l'unico latino che gli riusciva comprensibile era quello delle classificazioni per generi degli uccelli.
Apparebat eidolon senex.
Plinio
Plinio
diceva l'iscrizione.
Stan si sedette sulla panchina, tolse dalla sacca il suo album degli uccelli e cercò per l'ennesima volta l'immagine del cardinale rosso, per studiarla, assimilare meglio i segni di riconoscimento. Un cardinale maschio non si sarebbe potuto confondere con nessun altro volatile, dato che era rosso come un'autopompa, anche se non altrettanto grande; ma Stan era un paradigma di abitudine e conformismo; queste constatazioni lo rinfrancavano e rafforzavano la sua convinzione di appartenenza al mondo intero. Così studiò l'immagine per tre minuti buoni prima di richiudere il libro (l'umidità stava già facendo arricciare gli angoli delle pagine) e riporlo nella sacca. Tolse quindi il binocolo dall'astuccio e se lo portò agli occhi. Non aveva bisogno di regolare il fuoco, perché l'ultima volta che l'aveva usato era stato su quella stessa panchina a sorvegliare la stessa vasca degli uccelli.
Ragazzo pignolo, ragazzo paziente. Non era sulle spine. Non si alzò per fare quattro passi nei dintorni e non puntò il suo binocolo di qui e di là alla ricerca di qualcos'altro di interessante da vedere. Restò seduto immobile con il binocolo puntato sulla vasca per gli uccelli, mentre la bruma si raccoglieva in goccioloni sulla sua mantella gialla.
[continua...]