Addio Ibis eremita del medio oriente

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Addio Ibis eremita del medio oriente

Messaggioda KTF » 4 ott 2010, 10:44

Gianluca Serra. Biologo della conservazione e ornitologo

La scoperta della colonia relitta di Ibis eremita (Geronticus eremita) nel deserto siriano nel 2002 fu un momento di entusiasmo per la comunità internazionale di conservazionisti e di appassionati di birdwatching. Gli ultimi sette discendenti viventi dell'ibis dei geroglifici egiziani, la divinità "psicopompa" Akh - responsabile cioè dell'accompagnamento delle anime dei defunti nell'Aldilà.

Gli ultimi sopravvissuti della popolazione orientale migratrice di Ibis eremita - separata da secoli da quelli rimasti in Marocco, appartenenti alla popolazione occidentale e residente - un centinaio di individui in tutto. La specie, comprendente le due separate popolazioni, era classificata come "gravemente minacciata" nella Lista Rossa della IUCN già dal 1994. In realtà, la popolazione orientale era stata dichiarata estinta già nel 1989, con l'estinzione dell'ultima colonia conosciuta, ubicata sull'Eufrate nell'Anatolia meridionale - mentre in Siria l'uccello era addirittura ritenuto estinto già da 70 anni prima.

Poi la scoperta inaspettata, in Siria appunto. Eppure a ben pensarci c'era ben poco da essere ottimisti circa la possibilità di salvare la popolazione orientale a partire da quegli ultimi 7 individui - specialmente considerando il contesto socio-economico e politico della regione. Senza contare poi che i fondi internazionali dedicati alla conservazione delle singole specie animali sono risicati e risibili e che le "cause prime" della Sesta Estinzione di Massa di animali e piante sul pianeta Terra - la quinta è stata quella che ha spazzato via i dinosauri circa 65 milioni di anni fa - sono davvero difficilmente affrontabili e risolvibili.

Le cause prime di questo vero e proprio biocidio-stillicidio sono infatti tutte riconducibili all'uomo, alla sua organizzazione socio-economica, ed alla sua psiche (individuale e collettiva):

- l'ambizione all'arricchimento e consumo illimitati, una ideologia - con nessun aggancio concreto alla realtà dei fatti del pianeta - nata nei paesi occidentali e esportata poi in quelli in via di sviluppo

- la crescita esponenziale e incontrollata della popolazione umana nei paesi poveri ed in via di sviluppo (con associato anelito di poter un giorno arricchirsi e consumare come nei paesi occidentali)

- un encefalo, quello umano, essenzialmente programmato per decidere e pensare sul breve periodo (identico in questo a tutti gli altri animali)

- una spiccata tendenza a negare la realtà delle cose, al fine di controllare ansia e angoscia.

Nonostante tutto ci si è provato, con un certo entusiasmo; ci si è buttati nella mischia, specialmente chi vi scrive, nel tentativo, abbastanza folle, di salvare l'Ibis eremita nel Medio Oriente. Anche perché sembrava una eccellente specie "flagship" (simbolo, emblema), un buon "ombrello" cioè per perorare la causa di tutto l'ecosistema della steppa siriana. I problemi da risolvere però erano enormi soprattutto perché, come se non fossero bastati quelli tipici della steppa siriana (caccia incontrollata, desertificazione galoppante e sviluppo incontrollato di infrastrutture), si doveva al contempo cercare di affrontare anche tutte quelle minacce a cui gli sparuti pennuti andavano ad esporsi durante la lunga migrazione e lo svernamento fuori dalla Siria (6 mesi l'anno), in territori a quei tempi sconosciuti - per svelare questo mistero ornitologico occorreva catturare ed equipaggiare con marcatori satellitari alcuni degli uccelli.

Rimboccateci le maniche, durante i primi anni, si è riusciti a lavorare sul campo con alta efficienza e senza grandi preoccupazioni, sotto il cappello della Nazioni Unite (FAO) e con i fondi della cooperazione italiana, riuscendo così a istituire un programma di protezione intensivo e ad addestrare vari esponenti della comunità locale (governativi, cacciatori e beduini nomadi) a proteggere la colonia di ibis, con risultati incoraggianti (14 giovani involati in 3 anni). I primi rangers e eco-guide del paese sono nati da questa fase del progetto, insieme alla possibilità concreta di sviluppare e promuovere l'ecoturismo a beneficio delle comunità locali.

Ma ecco che nel 2004 questo progetto finisce inaspettatamente e ci si ritrova a dover fare un appello internazionale a tutta la galassia delle organizzazioni no profit di conservazione della natura. Da quel momento la "missione", il progetto, finisce deviato sotto l'ombrello di un piccolo e nuovo ufficio regionale di una autorevole no profit internazionale di conservazione. Ufficio abbastanza improvvisato e confuso, tranne che nella intenzione di sfruttare al meglio l'opportunità di esposizione mediatica che occuparsi di Ibis eremiti offriva.

Da allora il progetto è stato segnato da una cronica mancanza di fondi, fiaccato da continui personalismi e territorialismi, nefaste improvvisazioni a livello istituzionale con conseguenti lentezze burocratiche estenuanti (per ottenere autorizzazioni necessarie a fare qualsiasi cosa sul campo), e una totale mancanza di consapevolezza della importanza e necessità di avvalersi della preziosa e disponibile esperienza tecnico-scientifica, maturata durante i primi 3 anni di progetto.

Così, tra mille difficoltà, in condizioni di lavoro rigorosamente in stile missionario e volontario, si è comunque riusciti a realizzare alcuni piccoli grandi miracoli, soprattutto grazie all'appoggio della First Lady siriana, Mrs Asmaa Assad: si è scoperta la rotta migratoria e i territori di svernamento in Etiopia nel 2006, sono stati effettuati vari importanti sopralluoghi nei territori di svernamento sull'acrocoro etiope, le minacce più gravi fuori dalla Siria sono state identificate (una su tutte la caccia in Arabia saudita, drammaticamente identificata nel 2009), il metodo di "supplementazione" della colonia selvatica, con individui dello stesso pool genico nati in cattività in Turchia, testato con successo.



Purtroppo tutto questo è avvenuto troppo lentamente rispetto alla diminuzione del numero di uccelli della colonia. Il problema principale appare quello di aver trascurato i consigli degli esperti circa la necessità di protezione intensiva della riproduzione della colonia a Palmira, che fosse basata su assistenza tecnico-scientifica internazionale. Questo fatto, da solo, ha prodotto come conseguenza i fallimenti riproduttivi nel 2005 e nel 2008, fatali per la già vacillante dinamica demografica della colonia relitta.

Si arriva quindi alla penosa situazione attuale: adesso che tutte le informazioni necessarie per agire, soprattutto fuori dalla Siria, sarebbero disponibili, insieme ai mezzi per attuarle, e adesso che paradossalmente anche i fondi sarebbero disponibili, ebbene, la colonia adesso conta solo tre individui... e siamo quindi arrivati veramente al capolinea per questa leggendaria popolazione orientale di Ibis eremiti.

Durante questi ultimi 5 anni, personalmente, mi sono sentito come a bordo di una ambulanza che cercava di raggiungere disperatamente, a sirene spiegate, l'ospedale più vicino, con un grave ferito a bordo: ambulanza che però si ritrovava a percorrere una strada ricoperta di mastice o invasa da una "marmellata" di traffico.

Aldilà di quello che si dirà, e già si sta dicendo, la verità è che questa estinzione si poteva evitare, o almeno tentare di evitare con maggiore impegno e organizzazione: attivandosi con maggiore tempismo, con una mobilitazione di emergenza di fondi, avvalendosi senza esitazioni di esperienza e qualifiche - ed anche, essenziale, facendo leva sulle passioni individuali, disponibili ma frustrate continuamente. Certo che - ho imparato sulla mia pelle - i mezzi a disposizione di chi può e vorrebbe impegnarsi per salvare natura e animali, a livello internazionale, sono oggigiorno veramente limitati.

Infatti, questo "case study" di conservazione sembra suggerire che la battaglia per contrastare le minacce che gravano sulla biodiversità del pianeta, viene spesso combattuta con mezzi di fortuna e con armi spuntate - nel caso specifico poi, con pochissima convinzione da parte delle organizzazioni no profit internazionali preposte.

La verità è che esiste un flebile interesse dell'opinione pubblica e dei governi per questa tragica estinzione di massa di animali e piante che caratterizza il tempo attuale e caratterizzerà ancora di più gli anni a venire.

Pochi si rendono conto infatti che è il nostro stesso stile di vita consumista direttamente responsabile e implicato in questa estinzione di massa di fauna selvatica - forse c'è più interesse per gli animali domestici e da compagnia, con i quali si ha certo maggiore familiarità. La famosa Convenzione sulla Biodiversità di Rio de Janeiro, varata nei primi anni novanta, e tutte le altre iniziative simili e collegate che sono seguite, sono valse a poco ed i risultati ottenuti sono francamente del tutto insufficienti e deludenti.

Come possiamo sperare che gli uomini si appassionino all'attuale bio-cidio di specie non umane - che percorre come un brivido tutto il globo, senza eccezioni - quando vediamo che non riescono neanche ad affrontare seriamente le gravi minacce che incombono sul genere umano stesso (vedi per esempio il fallimento nell'affrontare seriamente il cambiamento climatico)? In effetti, un cervello programmato per decidere e pensare sul breve periodo e la tipica inclinazione umana a non "vedere" e negare ciò che non piace non aiutano molto in questo.

E poi, come possiamo sperare di salvare le centinaia di specie animali e piante al momento minacciate di estinzione (scrupolosamente registrate nella Lista Rossa della IUCN; la maggior parte sconosciute ai più), quando si sta fallendo perfino a salvare uno degli animali più belli - forse, davvero, oggettivamente il più bello e affascinante che condivida il pianeta con noi: la Tigre (sia quella del bengala che quella siberiana)? Stesso dicasi per tante altre specie animali carismatiche (vedi il panda, il rinoceronte, il ghepardo, il leone, le balene, il gorilla etc.).

La Sesta Estinzione di Massa di animali e piante sembra quindi irrevocabilmente e ineluttabilmente destinata a procedere a velocità sempre maggiore, in parallelo alla crescita della popolazione umana mondiale e alla espansione del mercato globale. Volare su un qualsiasi aereo di linea oggigiorno ci dà la possibilità di vedere come la superficie della Terra sia "butterata" e segnata dalle attività umane ormai quasi in ogni suo intimo recesso: insomma, è davvero poco lo spazio vitale rimasto a disposizione degli animali e piante selvatiche. Letteralmente, non sembra che ci sia più posto per altre creature sul pianeta - oltre all'uomo. Dovremo davvero cominciare a convincerci che ci ritroveremo un giorno non tanto lontano in un mondo senza natura e animali selvatici? Un mondo in cui la natura sarà equiparata a parchi e giardini, caratterizzati da una biodiversità bassissima, e frequentati da pochi animali commensali e infestanti, felicemente combinati e asserviti all'uomo.

La situazione del nostro pianeta e dell'umanità al giorno d'oggi richiama l'immagine di un vascello alla deriva in mare aperto, abitato da una miriade di tarli, tutti esclusivamente intenti a divorarne il legno per saziare la fame del momento e accumulare ossessivamente risorse per un futuro lontano e improbabile..., mentre l'acqua comincia ad infiltrarsi attraverso il fasciame dello scafo indebolito e tarlato.

Molti finiscono per domandarsi perché dovremmo occuparci di un'altra specie animale che scompare - seppur irreversibilmente. E.O. Wilson, entomologo e conservazionista di Harvard, nel suo recente libro "La Creazione" risponde così (immaginandosi di proporre una alleanza con chi crede in Dio): "Ciascuna specie è un piccolo universo a sé, diversa da tutte le altre per il suo codice genetico, l'anatomia, il comportamento, il ciclo vitale, il ruolo nell'ambiente, un sistema che si auto-perpetua, creato nel corso di una storia evolutiva di una complessità quasi inimmaginabile. Ciascuna specie merita che dei ricercatori vi dedichino la loro carriera e storici e poeti la celebrino. Nulla di tutto ciò può essere detto per un protone o un atomo di idrogeno. In poche parole Reverendo, è questo l'argomento morale più forte e impellente che viene dalla scienza per salvare la Creazione."


Tratto da:
http://www.greenreport.it/_new/index.php?page=default&id=+6887
Karol Tabarelli de Fatis - EBN 109
Last lifers: Sabine's gull (Xema sabini)
https://www.flickr.com/photos/ktdf/
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