13a Commissione Territorio, Ambiente, Beni ambientali

Testimonianze sulla caccia in Italia

13a Commissione Territorio, Ambiente, Beni ambientali

Messaggioda KTF » 20 gen 2009, 17:41

13a Commissione Territorio, Ambiente, Beni ambientali - Senato della Repubblica

Comitato ristretto.

Audizione della LIPU (Dr. Danilo Selvaggi, Responsabile Rapporti istituzionali) sui DDL di modifica della l. 157/1992

Roma, 15 gennaio 2009

Signor Presidente, signor Relatore, signori Senatori,

anzitutto un ringraziamento per l’invito riservatoci, anche a nome del Presidente Giuliano Tallone, con l’augurio che il contributo della LIPU-BirdLife Italia possa risultare utile ai lavori del Comitato ristretto e della Commissione tutta.

La materia su cui siamo convocati è la stessa che ci vide in audizione qualche anno fa, cinque per la precisione, quando si articolò il precedente tentativo di modificare la legge 157 sulla tutela della fauna e la disciplina della caccia.

All’epoca facemmo presente, con argomenti dettagliati, che ritenevamo quelle proposte di modifica destinate a rimanere sulla carta. E così fu. Rimasero sulla carta.

Ad esempio, nessuna chance, a nostro avviso, aveva il tentativo di allungare i tempi di caccia o la lista delle specie cacciabili, insomma l’articolo 18 della 157, e questo non perché lo sosteneva la LIPU ma perché lo rendeva oltremodo evidente il combinato disposto di norme, dati scientifici, informazioni, sentenze della Corte di Giustizia.

Al contrario, noi sostenemmo, depositando dettagliata memoria, che se l’articolo 18 andava cambiato, l’intervento avrebbe dovuto riguardare una contrazione dei tempi di caccia di numerose specie e l’esclusione di altre specie dalla lista di quelle cacciabili.

Allora come oggi, le cose stanno così: l’articolo 18 può essere cambiato solo in questa direzione, riducendo i tempi di caccia e la lista delle specie cacciabili.

In effetti, cosa è accaduto in questi 5 anni?

Almeno tre fatti, che hanno tuttavia confermato e anzi amplificato la situazione che illustravo:

(1) la crisi generale della biodiversità si è, per varie cause, accentuata. L’appello del Commissario europeo all’ambiente Dimas, rivolto all’Italia, è di sole tre settimane fa e chiede al nostro Paese di fare di più in termini di tutela delle specie e ancora di più degli habitat. La 157, che è l’unica legge italiana di tutela diretta della fauna selvatica, non può non tenere conto di questo e valutare la necessità di un incremento delle tutele;

(2) il fenomeno climatico del “riscaldamento” fa ipotizzare a molti autorevoli scienziati un anticipo dei tempi di migrazione di ritorno al nord degli uccelli che svernano in Italia. Ricordo, in tal senso, che gli uccelli in migrazione prenuziale (cioè, per semplificare, quelli che appunto ripartono dall’Italia verso il Nord Europa per riprodursi), non possono assolutamente essere cacciati;

(3): la Commissione europea ha aperto contro il nostro Paese una procedura di infrazione di oltre 60 punti di Parere motivato per cattivo recepimento della Direttiva Uccelli. Buona parte di questa procedura è dedicata al tema caccia. In sostanza, l’Europa dice che in Italia, sotto taluni profili, si caccia troppo e male.

Ecco: questi sono tre temi generali e prioritari che dovrebbero essere tenuti in primissima considerazione per la modifica (noi preferiamo dire il miglioramento) della legge 157.

Mi permettano, su questi punti, alcune rapide considerazioni.

Parto dal’articolo 18, e anzitutto dai tempi di caccia.

Come accennavo, la direttiva europea ci dice che durante la fase di riproduzione, dipendenza e migrazione prenuziale, gli uccelli non possono essere cacciati. La Corte di Giustizia ha poi chiarito che tale regime di protezione, in fase di migrazione, debba intendersi come totale. Cioè, caccia rigorosamente chiusa.

Ricordiamo, come più volte sottolineato dall’INFS, che questa è una fase delicatissima per gli uccelli: c’è una migrazione differenziata, i migliori soggetti riproduttori partono prima degli altri, insomma si tratta di un periodo biologicamente molto delicato.

Ora, nel 1992 la 157 stabilì che la chiusura generale della caccia era da effettuarsi al 31 gennaio. E in effetti i dati allora disponibili già dicevano che febbraio era mese di piena migrazione prenuziale e dunque necessario di divieto assoluto di caccia.

Più di recente, per approfondire e chiarire meglio i termini della questione, la Commissione europea ha costituito a Bruxelles un comitato tecnico-scientifico, detto Ornis, per stabilire con maggiore precisione le date di avvio della migrazione nei singoli Paesi membri per le varie specie.

Bene: quale è stato risultato per l’Italia? Che per circa il 70% delle specie cacciabili migratrici già in gennaio si registra una migrazione avanzata. Quindi richiedendosi, di conseguenza, una protezione assoluta.

Eppure in Italia non avviene questo. Già attualmente, in Italia, tali specie si cacciano in periodo vietato.

Dunque, signori Senatori, già oggi siamo in infrazione latente. Per 11 specie migratrici l’Italia rischia seriamente l’intervento europeo.

Voglio essere preciso come merita questa Commissione: le specie Alzavola, Codone, Canapiglia, Folaga, Combattente, Tordo sassello sono cacciate in Italia 10 giorni in più del consentito.

La specie Beccaccia è cacciata almeno 20 giorni in più del consentito. E così il Merlo, la Cesena, il Tordo Bottaccio: 20 giorni in più del consentito.

La specie Germano reale è cacciata 30 giorni in più del consentito! Secondo le risultanze del Comitato Ornis, cioè secondo i parametri ufficiali comunitari, la caccia al Germano reale dovrebbe chiudersi, in Italia, il 31 dicembre. Invece si chiude il 31 gennaio, un mese dopo.

Esistono, da un lato, alcune specie migratrici (5 o 6) che ripartono dall’Italia nel mese di febbraio (il che non comporta automaticamente che le si debba poter cacciare anche a febbraio. Ci sono altri aspetti stringenti che la Guida interpretativa della Commissione europea chiede di tenere in conto, come il disturbo o le specie simili). Comunque sia, a fronte di queste 5 o 6 specie che migrano a febbraio, ce ne sono almeno 11 che migrano tra la fine di dicembre e gennaio, per le quali dunque dovremmo drasticamente ridurre i tempi di caccia.

E questo al netto dei possibili aggiornamenti relativi alle questioni climatiche, che potrebbero ulteriormente aggravare il quadro.

Discorso analogo per le specie cacciabili: qui mi limito a dire che sono ben 17 le specie cacciabili in Italia che lo studio Birds in Europe II ha indicato come in cattivo stato di conservazione. Specie sulle quali, quindi, dovremmo intervenire in meglio sotto il profilo della tutela.

Allora, qual è il dato di fatto che emerge? Che se l’articolo 18 è un compromesso, esso –con tutta evidenza- è un compromesso molto vantaggioso per l’attività venatoria.

Un compromesso peraltro difficile da toccare, perché una sorta di vaso di Pandora, foriero, per il legislatore, di problemi e grandi difficoltà.

Ma, ripeto, se si dovesse intervenire sull’articolo 18, lo si dovrebbe fare solo per diminuire tempi e specie di caccia.

Il contrario, e lo dico con il massimo rispetto, sarebbe estremamente errato e grave. Non ultimo, in audizione di fronte a questa spettabile Commissione, lo ha sostenuto l’INFS, l’autorità scientifica nazionale di riferimento, depositando memorie inequivocabili. Il che, a nostro avviso, dovrebbe definitivamente chiudere il discorso.

Certo, la 157 non è solo l’articolo 18.

La 157 è una legge ampia e complessa. Ancora oggi è una buona legge, con un impianto normativo molto valido. Ma può essere migliorata e soprattutto meglio, molto meglio applicata.

Lo abbiamo scritto nel documento comune degli Stakheolders, assieme alle principali associazioni ambientaliste, venatorie e agricole ed a quel documento –che consegniamo al relatore e alla Commissione- rimando per la completezza dei temi e degli spunti su come migliorarla.

Qui però, in conclusione, voglio ricordare rapidamente le priorità:

rivedere la normativa sul risarcimento dei danni da fauna selvatica, e attivare gli strumenti idonei alla gestione delle specie selvatiche cosiddette problematiche. Di sicuro una priorità, che va affrontata con efficacia, buon senso, rispetto degli animali e con una piattaforma di lungo respiro, fuori dalla logica dell’emergenza infinita. A cominciare dalla conditio sine qua non del blocco totale delle immissioni di cinghiali. Che deve avvenire subito, senza esitazioni, altrimenti si prendono in giro gli agricoltori e i cittadini;

riformare il Comitato Tecnico Faunistico Venatorio Nazionale, facendone un istituto che valuta, approfondisce, indirizza, dirime le controversie e in definitiva contribuisce alla chiarezza della gestione della materia. Mentre oggi, purtroppo, è un organismo morto;

rafforzare la ricerca e in particolare l’ex INFS, se possibile ridandogli autonomia dall’ISPRA e comunque dotandolo delle risorse necessarie;

prevedere un sistema realmente efficace di misurabilità e misurazione della pressione venatoria, con una riforma seria dell’utilizzo del tesserino venatorio, della raccolta e elaborazione dei dati:

procedere repentinamente al recepimento e all’applicazione delle Direttive e delle convenzioni naturalistiche, sotto vari profili, inclusa la completa risposta da dare alla procedura di infrazione 2131/06 e alle procedure ad essa correlate. In questo senso, tra le altre cose, va risolta definitivamente la scabrosa situazione tutta italiana delle deroghe di caccia, che ogni anno vengono scambiate per caccia ordinaria. E’ di pochi giorni fa il mea culpa clamoroso della regione Lombardia, che è eloquente ma non basta. Devono seguire atti, regionali e anche dello Stato, tra cui uno snellimento delle procedure di intervento statale sulle deroghe scorrette. Soprattutto, si deve capire che le deroghe non sono caccia bensì un fatto straordinario, non sono regola ma un’eccezione, un strappo eccezionale alla regola. Credo inoltre che su questo tema vada anche disinquinata la cultura e l’informazione, soprattutto di molti cacciatori che ritengono (magari in buona fede, eppure a torto) che le deroghe spettino loro come un diritto, ogni anno. Insomma vanno disattivate le condizioni che portano ad un continuo scontro sociale ed a infiniti contenziosi giuridici;

infine, intensificare la lotta al bracconaggio, piaga gravissima e offensiva per tutti (cittadini, ambientalisti, amministratori e cacciatori). Piaga che va combattuta senza più esitazioni con un aumento delle azioni educative ma anche con un giro di vite dei controlli e delle sanzioni, anche in linea con quanto chiesto dalla Direttiva comunitaria sul diritto penale in materia ambientale, appena approvata dall’Europa. Diamoci un tempo tutti insieme, signori senatori: in 5 anni il bracconaggio va eliminato o ridotto ai minimi termini!

Queste sono le vere priorità per il miglioramento della legge italiana sulla tutela della fauna selvatica e la disciplina della caccia. Le priorità che interessano al Paese.

Questo è ciò che da Paese che vuole modernizzarsi dovremmo fare subito. E potremmo farlo, in pochi mesi e con vasta convergenza, se sgomberassimo il campo da tutto il resto: depenalizzazioni, caccia a 16 anni, caccia nei parchi o addirittura aumento di tempi e specie cacciabili.

La strada delle vere priorità ci regalerebbe una ben maggiore certezza del diritto, una gestione più seria e serena della materia e persino una nuova stagione di rapporti tra i pur diversi interlocutori. Insomma, risultati più che auspicabili e un Paese migliore anche sotto questo profilo. Tale è la strada in cui crede la LIPU, che ha infatti sottoscritto il documento degli Stakeholders, i cui contenuti sono tanti, seri e concreti.

Ma se invece la strada sarà l’altra, allora la LIPU dirà quello che disse 5 anni fa: per queste proposte non c’è alcuna chance.

Peraltro, lasciatemi dire che se tali proposte hanno l’obiettivo di ridare vigore e dignità alla caccia, esse rischiano seriamente di ottenere il risultato inverso, perché prestano il fianco ad una protesta che può anche essere dilagante. Il sentimento popolare che non vede la caccia di buon occhio, Signor Presidente e signori Senatori, è un sentimento diffuso e crescente, ed è bene ricordarlo.

Sta anche e soprattutto al legislatore, oltre che a tutti noi, decidere se vogliamo che questo sentimento esploda e porti ad un conflitto e a una situazione sempre più caotica, e allora la nostra associazione (lo dico serenamente ma in modo chiaro) si farà sentire, protesterà anche in modo robusto, o se invece vogliamo tentare l’apertura di una nuova stagione tra le parti, con una 157 non certo stravolta ma migliorata, valorizzata e applicata correttamente.

Grazie per l’attenzione.
Karol Tabarelli de Fatis - EBN 109
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